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La prepotenza degli occhi

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Anna_Maria_Ortese

Anna Maria Ortese, scrittrice misconosciuta e relegata nell’ambito del patetico, ha frequentato assiduamente i territori dei visionari, dei minorati, delle piccole cose. La sua prima collezione di racconti, Il mare non bagna Napoli, esordisce con un testo formidabile, che parla di visione e di occhiali, e che offre lo spunto per riflettere sulla complessità di quello che oggi si chiama sistema visuo-posturale, o più semplicemente la relazione che sussiste tra gli occhi e i suoi fratelli (sistema vestibolare, articolazione temporo-mandibolare, piedi e ovviamente numerose aree cerebrali). Fa piacere anche segnalare che il racconto è stato selezionato e premiato tra i contributi inviati al nostro primo contest visivo-letterario.

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il mare non bagna Napoli

Si narra la storia di una ragazzina che abita con la sua famiglia in un basso napoletano, ai piedi di un palazzo nobiliare, in un contesto miserabile e affamato tipico del secondo dopoguerra. La ragazzina vede male e a un certo punto della storia riceve il suo primo paio di occhiali, carico da subito di lenti dalle potenti diottrie. Sorvolando sulle difficoltà materiali affrontate dalla famiglia per sostenere la spesa per un simile occhiale, è interessante notare l’attenzione con cui l’autrice descrive gli effetti che la correzione provocherà alla ragazzina, la quale per colmo di sfortuna, aveva appena mandato giù un raro e misero panino. Vertigini, malessere profondo, sbandamento ed infine vomito e svenimento, provocano la perdita del prezioso panino, il cui valore terra terra, paradossalmente, eclissa quello assai più sofisticato della protesi visiva.

Occhiali Miopia
Occhiali Miopia

Il racconto illumina l’universo delle priorità del soggetto di cui parla, mettendo in qualche modo in ridicolo il tentativo di normalizzare un aspetto della sua capacità percettiva, senza tenere in dovuto conto l’impatto della correzione né il contesto su cui questa letteralmente si abbatte. Oggi nel nostro mondo le cose sono per fortuna generalmente diverse, i contesti sono migliorati, più o meno, ed è difficile che una persona passi da una correzione assente a 10 diottrie da un momento all’altro: i controlli sono regolari anche nella primissima infanzia e le conoscenze acquisite nel campo della visione mettono a disposizione numerosi sistemi per contenere la richiesta di compensazione visiva. Però a volte situazioni di cambiamenti importanti si presentano e l’esperienza insegna a procedere con gradualità, facendo passi più piccoli in direzione dell’ottimo percettivo desiderato. Anche un soggetto difettoso esige quindi rispetto per il suo equilibrio, il quale, per quanto precario, rappresenta comunque un adattamento nel contesto della sua vita.

Lente a Contatto
Lente a contatto

La funzione visiva soggettiva è inoltre particolarmente prepotente nell’ambito dell’insieme dei sistemi di cui il nostro organismo si dota al fine di sentire se stesso e la propria posizione nello spazio. Gli occhi possono far credere che una cosa dritta sia storta, che un’altra lontana sia vicina, che il nostro corpo si muova quando è invece perfettamente fermo: a chi non è capitato di stare seduto in treno e di avere l’impressione di muoversi al lento passaggio di un altro treno che si vede attraverso il finestrino, nonostante il treno su cui ci si trova sia perfettamente fermo? Questi riflessi coinvolgono la retina, il sistema vestibolare e quello cervicale, e gli occhi, come si accennava, sono particolarmente prepotenti nei confronti degli altri organi e apparati: ogni modifica ad un adattamento soggettivo può causare malessere in uno dei distretti coinvolti ed è per questo motivo che i nuovi occhiali possono letteralmente fare vomitare. Affinché questo non accada la nuova correzione deve essere ponderata e valutata con attenzione per dare il massimo vantaggio possibile senza indurre disagio.

Questo per quanto riguarda gli occhiali. Se la nostra bambina, quella di cui Ortese ci parla nel suo racconto, avesse invece indossato delle lenti a contatto, con ogni probabilità avrebbe mantenuto il panino nel suo stomaco e apprezzato per una prima volta la distinzione delle singole foglie nella chioma di un albero, i dettagli del volto della madre, del padre, dei numerosi fratelli e sorelle e i colori saturi e vivaci del cielo di Napoli, che solo una visione a fuoco può offrire.

Le lenti a contatto hanno questo grandissimo vantaggio: poiché a contatto con la superficie oculare non introducono alterazione nelle dimensioni e nella posizione del percepito: sono una grandissima invenzione, relativamente recente, e la tecnologia di cui sono portatrici è costantemente in evoluzione. Si pensi che oggi si dispone di lenti a contatto morbide, in materiali ad altissima biocompatibilità, capaci di correggere difetti severissimi e di alleviare situazioni di grande disagio nel massimo comfort, quando nel 1888 le prime lenti a contatto erano gusci di vetro lavorato in base ad un calco del globo oculare.

La correzione a contatto rende gli occhi meno prepotenti nei confronti degli altri distretti del sistema visuo-posturale: non c’è niente di più sbagliato che considerarle come un mero espediente estetico.