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Decimi in difetto, latitanti visioni

otticaPanzironi shop

Aracoeli book“In marina”, disse, “chi ha poca vista non passa. Ma voi siete librista, mica marinaio! E poi non dite che siete cecato! La vostra non è cecatezza! La vera cecatezza non si rimedia con gli occhiali!”

Dice bene Daniele dei Danielidi, celebrato e unico amico del piccolo – e assai miope – Manuele, in Aracoeli di Elsa Morante: alla cecatezza non v’è rimedio, alla poca vista invece sì! I difetti non sono patologie o ferite cui sia preclusa la guarigione, ma qualcosa di inferiore o minore rispetto ad uno standard definito. In ambito visivo questo è rappresentato da un certo angolo minimo di risoluzione: il dettaglio minimo che può essere distinto ad una certa distanza, i cosiddetti dieci decimi!

Ma, in natura, i difetti rappresentano per se stessi la varietà delle capacità visive di una certa popolazione: si fa presto a dire miope, nel senso di avere la vista corta, se si ignora l’acutezza della visione miopica per il dettaglio più prossimo e minuto. Nella miopia non si dà effetto calza. Ogni poro della pelle del volto è visto nella sua dilatazione, ogni ruga si manifesta fin dal suo primissimo avviso, ogni pelo troppo scuro o fuori posto appare immediatamente per l’intruso che è.
Il miope si prende la sua rivincita intorno alla quarantina, a cena al ristorante, quando legge il menù al coetaneo ipermetrope, che l’accompagna e che ancora non si è rassegnato alla perdita dei suoi furono undici decimi! Entrambi sono divenuti presbiti, ma il primo ha sempre il suo fuoco fisso in un punto più o meno prossimo, accessibile semplicemente levando quegli occhiali, che gli furono imposti, con ogni probabilità, ancora impubere, deriso e compatito. Per il secondo non v’è maestra di scuola o madre, come fu per il piccolo Manuele, che possa imporgli gli odiosi occhiali. Messo alle strette, potrà chiedere al cameriere cosa offra di buono la casa.

I difetti si manifestano nel tempo e nello spazio. Di natura generalmente fisiologica, quelli di vista si correggono in modo non invasivo e reversibile con lenti esterne o, in modo più invasivo e meno reversibile, per mezzo di chirurgia refrattiva o impianti intraoculari. Raramente si ricorre all’esercizio fisico, sebbene anche questa sia una strada percorribile. Dal senso della vista dipende circa l’80% delle informazioni che un soggetto riceve quotidianamente e questa sensibilità muta nel corso della vita dei soggetti medesimi, che esprimono, in quanto popolazione, la varietà dei difetti possibili. L’acutezza visiva di cui un soggetto è dotato determina profondamente la sua capacità di relazione con gli altri intorno a sé: per andare a scuola occorre distinguere i segni sulla lavagna, per guidare un veicolo occorre distinguere cartelli e segnali lungo la strada, per lavorare è necessario vedere bene al computer e non confondere un 3 per un 8.

I difetti sono mondani: ci sono ragioni storiche e sociali che determinano il loro essere al mondo, come andare a scuola, essere un cyborg ambulante e computazionale, essere parte di una popolazione disciplinata. Poiché ognuno deve andare a scuola con profitto, condurre un mezzo in sicurezza e lavorare con successo, la correzione dell’eventuale e comune difetto di vista è espressione non solo di una riabilitazione, ma anche di una omologazione funzionale all’interno del sistema di vita pubblico di una certa popolazione. Tale sistema potrà così somministrare insegnamenti, modalità di movimentazione e strumenti legittimi per la sussistenza, mettendo tutti, virtualmente, nelle stesse condizioni visive. L’occhiale e in generale le correzioni refrattive sono democratiche, nonché espressione di tutte le forme, di tutti i colori e di tutte le tasche presenti sul mercato.

Ciononostante l’esplosione e la conseguente commodificazione dei difetti di vista in tempo di capitalismo avanzato, può mettere in luce alcuni aspetti interessanti:
a) attualmente la correzione di ipermetropia e presbiopia rappresenta la fetta più importante del mercato delle protesi refrattive in ambito europeo;

b) mentre miopia e presbiopia sono vizi refrattivi noti da tempi antichi*, l’ipermetropia è definita e distinta dalla presbiopia dall’oftalmologo olandese Donders solo nel 1864: questo forse spiega la grande confusione persistente tra i più circa cosa affligga concretamente la vista della buona parte della popolazione;

c) la digitalizzazione delle attività ludiche e lavorative, che si svolgono per lo più a distanza prossimale, sta creando il bisogno di capacità visive potenziate ed estremamente uniformi per una popolazione sempre più anziana e/o sedentaria e non necessariamente bene informata e/o educata;

d) una certa quantità di miopia è divenuta vantaggiosa.
Si è forse divenuti tutti libristi? Certamente no. Neanche il piccolo Manuele di Aracoeli lo è divenuto, nonostante promettesse tanto bene. Al di là della correzione di ogni possibile vizio refrattivo persiste una formidabile mancanza di visione: la cecatezza resta senza rimedio per O-O&Co.TM. Che meglio vengano gli occhiali da sole neutri, meglio se prepotentemente griffati.

Così chiude la questione Elsa Morante nel suo italiano incantevole:
E mi espose il caso di un suo conoscente, certo Malone, che aveva gli occhi scoppiati da un esplosivo. Costui girava sempre con grossi occhiali neri, ma unicamente per nascondere che sotto gli restavano solo due pelli secche, simili a toppe ricucite. Quando passa, lui batte il bastone e urla:

Aiutate Malone, cecato e poverello,
Mettetegli un’offerta nel cappello.

E chi vuole, gli dà. Ma certi ragazzini, per canzonarlo, gli ci mettono una merda di capra, una lumaca, un chiodo…
“Non c’è rimedio per la cecatezza”, deliberò Daniele con pessimismo assoluto.”

Elsa Morante, Aracoeli, Torino, 2015, p. 261.